Vi è un sostantivo che, nell’immaginario collettivo e nella parlata comune, ha un significato negativo, si tratta del termine “delocalizzazione” utilizzato, per lo più, per sottolineare la fuga verso l’estero di aziende e di attività produttive con tutto il bagaglio di elementi che si porta dietro, dalla diminuzione della produzione all’aumento della disoccupazione.
Questo termine, nel settore turistico, invece, porta
con sé elementi di assoluta positività, soprattutto se abbinato con un altro
sostantivo che inizia sempre con “de”,
mi riferisco alla destagionalizzazione.
Due obiettivi, la delocalizzazione
e la destagionalizzazione dei flussi
turistici che dovrebbero porsi al centro dell’attenzione dell’imprenditoria
privata, delle amministrazioni locali, del governo e del parlamento, con
riferimento a norme e leggi ad hoc.
Il nostro Paese, con i suoi 8.000 e passa comuni, rappresenta
una platea turistica di richiamo pressoché totale, a differenza di altre
nazioni estere, che pure ci sovrastano nella classifica delle presenze e dei volumi
di affari, nelle quali gli elementi di interesse sono limitati a poche ed
identificate località.
In Italia ogni località, ogni paese, ha le sue
peculiarità, i suoi tesori e racchiude motivi e ragioni per essere meta di
presenze turistiche.
Nel contempo non può essere solo la stagione delle
vacanze (per lo più l’estate) a garantire la piena fruibilità del territorio.
Mi è capitato di giungere in alcune paesi e di
verificare come, a primavera avanzata, le strutture turistiche fossero ancora
chiuse e tutto venisse rimandato ai canonici mesi estivi.
Un comportamento senza senso che penalizza non poco la
nostra economia, anche perché limita presenze che invece, per ragioni climatiche
e di opportunità, potrebbero destagionalizzarsi lungo tutto l’arco dell’anno.
Così anche la delocalizzazione deve essere incentivata:
le nostre grandi città d’arte registrano ottimi flussi, destinati peraltro a
crescere ancora di più se i pacchetti turistici offrissero opportunità nuove,
più diffuse sul territorio ed in grado di intercettare aree e luoghi che da troppo
tempo sono rimasti a margini.
Certo occorre una rivoluzione copernicana
nell’approccio alla questione, ma il turismo costituisce un volano troppo
importante per la nostra economia per “sprecare”
delle opportunità che altrove, invece, vengono colte a pieno.
Lo dimostrano i dati economici ed occupazionali nelle
poche aree che ai due “de” hanno dato
spazio costruendo un’offerta valida tutto l’anno e creando reti che hanno posto
in essere e concretamente realizzato l’obbiettivo europeo di un’offerta
turistica integrata che allarghi sempre di più la platea, da un lato sotto il
profilo dell’ampiezza dell’area interessata, e dall’altro sotto quello della
messa in gioco delle varie opportunità culturali, economiche, artigianali ed
enogastronomiche che ogni territorio è in grado di offrire.
Dare spazio a delocalizzazione e destagionalizzazione rappresenta
veramente un obiettivo da perseguire, evitando di continuare a sprecare risorse
in un settore di importanza strategica per il futuro del nostro Paese.
Beppe
Tassone
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